Mi e’ stato regalato Libro d’ombra di Junichiro Tanizaki,
scritto nel ’35. Tanizaki scrisse poi nel ’56, La chiave, da cui prese spunto Tinto Brass per il suo film,
parecchio fedele al libro tra l’altro.
Ma qui voglio parlar
d’altro, non dell’erotismo giapponese, pur valido soggetto, ma dell’ombra. Il
titolo originale , in italiano, avrebbe dovuto essere Elogio dell’ombra, ma essendo gia’ uscito con quel titolo – in
Italia il libro usci’ solo nell’82 - un libro di Borges, optarono per questo titolo
molto meno felice.
Non voglio parlar del
libro, che di per se’ e’ decisamente molto datato, con toni estremamente
conservatori, a dir poco, sull’elettricita’, per esempio, per non parlare delle
donne….
Girando per I templi
zen di Kyoto, ma anche per altri templi buddisti giapponesi, oppure
contemplando in sale museali o su riviste, si rimane colpiti da quella abbondanza
di oro come sfondo. Sulle pareti delle sale, fondali dei paraventi dipinti ,
fogli d’oro zecchino a rivestire il legno in quantita’ preponderante, quasi a
rendere secondario il dipinto, i tratti di china, la figura rappresentata, sia
essa una tigre, un ramo di pruno o un bodhisattva. Lo stesso per statue, ma questo succede anche nell’arte
buddista del S.E Asiatico, completamente ricoperte d’oro, fuori, all’esterno.
Ed e’ qui la differenza, o meglio, anzi, la ragione. L’avevo in qualche modo
intuito, ma il libro di Tanizaki me lo ha confermato. L’oro non e’ li’ tanto in
quanto elemento prezioso. Certo, questo
ha il suo valore. Come pure ha il suo valore il fatto di essere
incorruttibile e non rovinarsi. Ma e’ li’, sui pannelli che funzionano come
muri, che circondano la sala centrale del tempio e le sale di meditazione, e’
li’ nei pannelli che separano le stanze creando alcove in penombra, e’ li’ per
illuminare….. A vederlo oggi, ci dice poco ed anzi siamo stizziti da tanta
manifestazione di ricchezza. Ma non e’
quello il punto.
Il punto e’ che l’oro
riverbera la luce. Torniamo indietro, a quando quei fondali furono dipinti,
quei paraventi costruiti. L’unica fonte dil luce erano, oltre al sole, le
candele, lumi a petrolio. Ecco che improvvisamente capiamo a cosa servivano
quelle pareti d’oro, Raddoppiavano, duplicavano la luce nell’ambiente, permettendo
di vederci, di leggerci, di pregare, di parlare, suonare, cantare, ed anche
mangiare. Perche’ quegli spazi non erano vuoti come li vediamo ora quando
visitiamo i templi, ma abitati, vissuti, pieni di presenze oggettive e
spirituali. Ed ecco che la luce delle candele veniva amplificata dalle pareti
dorate, che rivelavano i tratti a china, la compostezza dei Boddhisatva, la
calma della tigre o la leggerezza delle gru spennellate di bianco e rosa. Ecco
che quei pannelli, con la luce tremula, viva ,ondeggiante delle candele,
vivevano loro stessi e le cose su di loro rappresentate non erano piu’ fisse ,irrigidite in una posa, ma vive a
loro volta, trascinate dal movimento della luce, ingigantita dai
riflessi delle pareti dorate.
Ho sempre amato il
lume di candela e la luce che genera. Alcune candele in una stanza creano
giochi d’ombre calde, in movimento, disintegrano i corpi e li ricostruiscono
sulle pareti in tonalita’ di grigi con un tremito leggero che le rende vive.
Dipinsi un ritratto di
un amico, Giancarlo, riprendendo sulla
tela le combinazioni delle sei differenti ombre create sul muro dietro di lui dalle
candele che gli erano davanti. Colori ad olio, caldi, luminosi, cercando di
recuperare nel colore i toni caldi di quelle ombre.
Una parete della
cantoniera di Galtelli’ la dipinsi a paesaggio, usando l’ombra del corpo del
Piccolo coricato su di un tavolo come profilo delle montagne, l’ombra di Ciano ( il grande) e quella della mia mano che lo dipingeva. Grazia era al centro, attingeva l’acqua al
pozzo, di botticelliana memoria. Solo lei non la dipinsi da un’ombra, lei era
il sole.
Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani, 1982.
Tokyo, 18 Settembre
‘14
ed ora ecco alcune citazioni dal testo di Tanizaki:
"In generale , noi
Giapponesi non ci sentiamo a nostro agio di fronte a cose lucenti….Non dico che
aborriamo tutto cio’ che luccica; e’
tuttavia evidente che preferiamo , alle tonalita’ chiare, fredde e
scintillanti, quelle un po’ offuscate e caliginose. …ho insinuato altrove che,
per essere veramente eleganti, bisogna non temere il freddo; aggiungero’ che e’
necessario non temere la sporcizia…
Non e’ un caso che la
minestra si serva ancora nelle ciotole di legno laccato…..Che la zuppa di miso
potesse commuovermi , ed apparirmi infinitamente appetibile, me ne accorsi,
tuttavia, solo la volta che vidi, a casa di amici, questo liquido pastoso, color
dell’argilla, familiare fin dall’infanzia, stagnare in fondo ad una ciotola in
legno laccata di nero, sotto la luce fievole di candela….Sensazioni non
dissimili possono essere suscitate anche dallo shoyu ( la salsa di soja), specie quello chiamato tamari che, nella regione di Kansai,
viene servito coi filetti di pesce crudo ( sashimi)
o con legumi canditi o bolliti ( tsukemono)….
(pp.23-38)….
Nei temple buddisti,…nere
tegole riparano l’intero edificio, che sembra abbia scelto di accucciarsi sotto
la loro ombra densa e protettiva, niente sia importante come la vastita’ e la
pesantezza della copertura…. La spoglia eleganza delle case giapponesi e’
fondata, per intero, sulle infinite gradazioni del buio. …Del sole,…, non ci
raggiunge che uno spento riflesso, filtrate attraverso la carta opalescente
dello shoji. Questa luce mitigata e
indiretta e’ l’elemento estetico piu’ importante della casa giapponese. …le
pareti delle stanze piu’ importanti hanno il colore della sabbia, e superfici
opache, ruvide, smorte. Le loro gradazioni conferiscono, a ogni locale, una
differente qualita’ di buio…. V’e’, nella stanza principale della casa
giapponese, una nicchia, il toko no ma,
in cui, volta per volta, si usa esporre un quadro, o qualche fiore. Questo
oggetti mirano…ad aggiungere al buio una dimensione cava.. La funzione del
quadro, destinato ad assorbire una luce fioca, non e’ granche’ diversa da
quella degli intonaci sabbiati, per questo e’ cosi’ importante la patina,
quando scegliamo I quadri per il toko no
ma. ( pp.39-43).
L’inchiostro di china
acquarellato ( sumi-e) e’, tra i generi della pittura, quello cui vorrei
paragonare la stanza giapponese. Dove l’inchiostro sfuma, la’ e’ lo shoji; dove si addensa, la’ e’ il toko no ma….
Ma illuminare e’ la
parola giusta? La sua vera funzione ( dello
shoji ) non e’ forse quella di filtrare
ogni luce che venga dall’esterno, di sofforcarla, dsi spossarla? …
Quante volte, immobile davanti ad una di quelle finestre, ho meditato
sull’enigma di una luce senza bagliore! … Non avete mai avvertito la qualita’
strana , densa e fantomatica del lucore che vi stagnava, e che sembrava
separare il luogo in cui vi trovavate da tutta la restante realta’? ( pp.45-48)
Raccogliete
sterpi e
legateli.
Una capanna.
Sciogleteli.
Lo sterpaio di prima.
Queste parole
esprimono bene il nostro modo di pensare: non nella cosa in se’, ma nei gradi
d’ombra, e nei prodotti del chiaroscuro, risiede la belta’.
La perla,
fosforescente nei luoghi bui, alla luce del sole smarrisce gran parte del suo
fascino. ( pp.61-65).
Ma perche’ poi piace
tanto, a noi Orientali, la bellezza che nasce dall’ombra? V’e’, forse, in noi
Orientali, un’inclinazione ad accettare i limiti, e le circostanze, della vita.
Ci rassegnamo all’ombra, cosi’ com’e’, e senza repulsione….Un tempo le donne
erano obbligate non solo ad annerirsi I denti…ma anche a radere I sopraccigli;
altro artificio che serviva ad accrescere il lucore e l’albedine dei visi.
…Almeno nella mia immaginazione, quel viso vince in bianchezza la piu’ bianca
delle donne occidentali. In costoro, la bianchezza e’ diafana, ovvia, banale;
nella donna giapponese, e’ misteriosa, e disumana quietamente. Mi si potrebbe
obbiettare che un simile colorito non esiste nella realta’; che e’ un’illusione
effimera, legata ai giochi della luce e dell’ombra. Che importa? A noi piace
cosi’. Non c’e’ dato di sperare in niente di piu’, o di diverso…. Il colore dell’ombra che avvolgeva la
bianchezza fantomatica delle antiche donne giapponesi…..Avete mia visto, voi
che mi leggete, una vera oscurita’ illuminata da una luce di candela?
… ( pp.67-77).
Invecchiando, ognuno
si convince che, nel corso della sua
vita, tutto e’ andato peggiorando…Nessuno sembra soddisfatto dell’epoca in cui
s’e’ trovato a vivere….Sorrido divertito quando mi sorprendo anch’io a parlare
come un vecchio….
Ricetta sushi delle
montagne di Yoshino:
Mettete acqua e riso sul
fuoco. Quando l’acqua sobbolle, aggiungete un go di sake per ogni sho di
riso. Terminate la cottura lasciando, a fuoco spento, il riso sul fornello,
nella pentola chiusa ermeticamente. Poi aspettate che il riso si sia
raffreddato. Girando il riso tra le mani, che avrete spolverato di sale fino,
formate delle palline compatte. E’ importante che, durante l’operazione, le mani non conservino traccia
alcuna di umidita’. Il riso deve essere trattato soltanto con il sale. Quando
le palline di riso saranno pronte, avvolgetele prima in fette sottili di salmon
salato, poi in foglie di cachi con la parte lucida volta verso l’interno. Sia
le foglie di cachi, sia le fette di salmone, saranno state asciugate
meticolosamente con un tovagliolo pulito. Mettete le palline in una bacinella
di legno per il sushi, o in un
contenitore per il riso cotto, assicurandovi che non resti spazio tra pallina e
pallina. Anche la bacinella, o il contenitore, dovranno essere perfettamente
asciutti. Coprite il recipiente con un coperchio sul quale appoggerete una
pietra pesante, come quella che si usa nella preparazione del piatto di verdure
detto tsukemono. Preparato di sera,
il sushi e’ pronto per la mattina
dopo; lo si puo’ consumare nei tre giorni successivi, sebbene sia squisito
soprattutto il primo giorno. Prima di servirlo, irroratelo con un rametto,
bagnato di aceto, della pianta aromatica chiamata tade. ….
…La sua battaglia mi
pare confortante. E’ puro vandalismo cancellare quel mondo d’ombra, che e’ il
gran dono dei boschi….. Vorrei che non
si spegnesse anche il ricordo del mondo d’ombra che abbiamo lasciato alle
spalle; mi piacerebbe abbassare le gronde, offuscare I colori delle pareti,
ricacciare nel buio gli oggetti troppo visibili, spogliare di ogni ornamento
superfluo quel palazzo che chiamano Letteratura. Per cominciare, spegnamo le
luci. Poi si vedra’. ( pp. 79-90).