Friday 19 February 2016


Ellroy e Allende
Ultimamente ho letto un paio di libri , usciti entrambi, almeno in Italia, nel 2015, che trattano, almeno per un tratto , dello stesso argomento: i giapponesi negli States durante la Seconda Guerra Mondiale. L’uno, Perfidia, di Ellroy, e l’altro, L’amante giapponese, di Isabelle Allende.

Scritture alquanto diverse. La prima, post-moderna, rapida, non solo rapida, veloce, a salti, balzi, crepacci, avanti un po, indietro, avanti tutta. Continue sequenze differenti, quadri che cambiano, interno/esterno dei personaggi. Sembra di guardare di continuo uno di quei monitor che sono nei gabbiotti del personale di sicurezza di una azienda o di un ufficio : sei-nove inquadrature differenti dei vari angoli caldi del palazzo : entrata, scala A, scala B, entrata garage, accesso alle scale, magazzino, angolo opposto, uscita sul retro. Nove immagini fisse, che per nessuna ragione al mondo daranno mai un’idea di insieme. Qualche movimento all’interno dei quadri, qualche volta la stessa persona prima appare in un quadro, dopo un po in un altro. Ma saranno sempre nove riquadri e mondi separati. Cosi’ i personaggi di Ellroy. Questo libro ha 882 pagine e racconta 25 giorni. Ellroy potrebbe scriverne 1500 per raccontare 24 ore, o 3000 per raccontare un’ora. Non sara’ mai un insieme.

La seconda, un scrittura mi vien da dire tardo-romantica…niente a che vedere aihme’ con la Isabelle Allende di La casa degli Spiriti…La storia e’ bella e ben trattata, solamente, con una certa lentezza. Anche qui pero’ c’e’ uno ‘spirito’ , vale a dire una persona che non compare mai in prima persona se non tramite alcuni brani di lettere, ma sempre raccontata ed alla fine anche dopo morta continua a vivere una certa intimita’ con il personaggio principale.

Il primo racconta dei venti giorni ( dal 5 al 29 dicembre 1941)  che hanno visto l’attacco dei giapponesi a Pearl Harbour, di come reagirono alcuni americani e di quello che si prospettava per i giapponesi che vi vivevano.

Il secondo accenna solamente per una trentina di pagine allo stesso periodo, vedendolo in modo molto differente, per poi spaziare nella vita di alcun I personaggi, tenendo di fatto il giapponese essenzialmente come un'ombra su di un paravento sullo sfondo. Pochi punti in comune, quasi nessuno, se non quelle trenta pagine in cui velocemente si raccontano 4 anni.
Ellroy racchiude invece in 20 giorni una descrizione di una America che forse no ci si aspetterebbe, prima dell’entrata in guerra contro il nazismo ed i giapponesi. Un’america, quella che ci racconta, dove fascismo e nazismo avevano molti fans, molti sostenitori e, sembra,, fossero viste con una certa simpatia, e non solo per la loro funzione anti-comunista, ma quasi con una adesione istintiva al pensiero stesso. Non sapevo. Un po come scoprii tempo fa le forti simpatie fasciste di una buona parte di inglesi, prima della loro entrata in guerra.

I personaggi poi , be , non se ne salva uno. Personaggi che sono, qui, nel 1941, la versione giovanile di quelli raccontati da Ellroy in libri precedenti ma ambientati anni dopo. Come dire che erano gia’ marci, corrotti, o vanesi, confusi, o ancora arroganti ambiziosi e arraffattori fin dagli albori.  Tutta l’America che viene raccontata e’ di una superficialita’ allucinante, di una facilita’ di cambio di campo e di un cinismo senza limiti, in un tutti contro tutti alla ricerca di trarne il maggior profitto personale. Non se ne salva uno. O forse solo lui, Hideo Ashida, il poliziotto giapponese. Anche lui non e’ un puro, un santo, un eroe senza macchia e senza paura ( per fortuna), ma almeno non ti fa venire la nausea.
Per fortuna che Ellroy scrive da dio.



Tokyo, 20/2/16

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