Thursday, 31 March 2016

Un testo letto un po di tempo fa, e poi riletto, e che ogni tanto fa bene rileggere... :
J. Krishnamurti: Riflessioni sull’io   ( pp.50-64)
 

PAURA 

“…questa imitazione di cio’ che dovremmo essere genera paura e la paura uccide il pensiero creativo. La paura ottunde la mente e il cuore, impedendoci di essere svegli al senso globale della vita; diventiamo insensibili alle nostre stesse sofferenze, al volo degli uccelli, ai sorrisi e ai dolori degli altri. La paura, conscia e inconscia, ha cause diverse e occorre una vigile attenzione per liberarsene”….(p.30)
 
“Cio’ che porta la liberta’ dalla paura, e vi assicuro che e’ una liberta’ totale, e’ la consapevolezza della paura senza la parola, senza cercare di negare la paura o di fuggirla, senza aspettare di essere in uno stato diverso. Se siete consapevoli, con totale attenzione, del fatto che c’e’ paura, scoprirete che osservatore e osservato sono la stessa cosa, che non c’e’ divisione. Non c’e’ un osservatore che dice:” Ho paura”, c’e’ solo la paura senza la parola che denomina questo stato. La mente non fugge piu’, non cerca piu’ di liberarsi dalla paura, non tenta piu’ di scoprirne la causa e quindi non e’ piu’ schiava di questa parola. C’e’ solo un movimento di conoscenza che e’ il risultato dell’’innocenza e una mente innocente non ha paura.”  [Saanen, sesto discorso pubblico, 2 agosto 1962].
 

“Avete delle paure, fisiche o psicologiche? Se abbiamo paure psicologiche, come le affrontiamo? Se ho paura di perdere la mia posizione, il mio prestigio, dipendo dal pubblico, da voi, perche’ mi sosteniate. Dipendo da voi per sentirmi vivificato parlandovi. E ho paura, invecchiando e perdendo le mie facolta’ mentali, di non riuscire piu’ a far fronte alle cose. Ne ho paura. Oppure ho paura  di dipendere da voi. La dipendenza mi rende 44attaccato a voi e ho paura di perdervi. Ho paura di qualcosa che ho fatto in passato e di cui mi pento o mi vergogno; non voglio che voi veniate a saperlo e cosi’ ho paura che lo scopriate. Oppure provo un’ansia terribile riguardo alla morte, alla vita, a quello che dicono gli altri, a quello che non dicono gli altri, al modo in cui mi vedono; un senso profondo di rovina, angoscia , un senso di inferiorita’; e cosi’ vivo una vita priva di senso.

A causa della mia ansia cerco sicurezza in qualcuno, in un rapporto, oppure cerco sicurezza in una certa credenza, un’ideologia, in Dio e cosi’ via. E ho paura di non riuscire a fare tutto quello che vorrei fare in questa vita. Non ne ho la capacita’, o l’intelligenza, ma sono terribilmente ambizioso rispetto qualcosa che voglio raggiungere. E cosi’, anche questo mi fa paura. Poi, ovviamente, ho paura della morte, ho paura di restare da solo, di non essere amato; percio’ voglio cercare un rapporto con un’altra persona in cui non ci sia questa paura, quest’ansia, questo senso di solitudine, questa separazione. E ho paura del buio, tutte le nostre innumerevoli paure nevrotiche.

Che cos’e’ questa paura? Perche’ c’e’ questa paura? Si fonda sul non voler venire feriti, adesso e in futuro? Oppure e’ perche’ vogliamo la totale sicurezza e, non riuscendo a trovarla in termini materiali, emotivi, psicologici e intellettuali, non riuscendo a trovare questo senso di totale sicurezza e protezione, diventiamo terribilmente ansiosi nei confronti del vivere?

La paura e’ uno dei nostri principali problemi, che ne siamo consapevoli o no. Che cerchiamo di fuggirla, di nasconderla, di resistervi, di sviluppare coraggio, e cosi’ via, c’e’ sempre paura.  La mente e’ cosi’ delicata, cosi’ sensibile, che non vuole venire ferita, dall’infanzia in avanti. Percio’, non volendo venire ferita, innalza un muro e noi diventiamo molto timidi o aggressivi. Prima che voi mi attacchiate io sono pronto ad attaccare voi, a parole, con il pensiero, perche’ sono cosi’ sensibile, ho ricevuto cosi’ tante ferite nella vita, nell’infanzia. In ufficio, in fabbrica, tutti calpenstano tutti e io non voglio venire ferito. E’ questa una delle cause della paura? Siete stati feriti, non e’ vero? A causa di queste ferite facciamo ogni tipo di cose, facciamo una forte opposizione, non vogliamo lasciarci turrbare. A causa di questo senso di ferita ci afferriamo a qualcosa che speriamo ci protegga. E cosi’ divento aggressivo nei confronti di tutto cio’ che minaccia quello a cui mi attacco perche’ mi dia protezione.

Che cos’e’ che, in quanto esseri umani, vi fa paura? E’ una paura fisica? Paura del dolore fisico? O una paura psicologica di pericolo? Dell’insicurezza? Di venire feriti dinuovo? Di non riuscire a trovare totale sicurezza e certezza? Paura che nasce dal non voler essere dominati, e cio’ nonostante siamo dominati? Che cos’e’ che in quanto umani vi fa paura? Siete consapevoli della vostra paura?”  [ Saanen, quarto dialogo pubblico, 7 agosto 1971]

 “Paura, piacere e dolore  esistono da tempo immemorabile. L’uomo ha sempre provato nella sua vita queste tre cose: la paura, la ricerca del piacere e il dolore. Evidentemente non le ha ancora superate. Abbiamo tentato ogni metodo, ogni sistema immaginabile. Abbiamo tentato di reprimerle, abbiamo tentato di fuggire, abbiamo tentato di inventare un dio e di affidare tutto a questa cosa inventata. Ma nemmeno questo ha funzionato. Percio’ dobbiamo scoprire se il dolore puo’ finire e comprendere la natura del dolore, la causa del dolore. La causa e’ diversa dalla paura? La causa e’ diversa dal piacere: il piacere di ottenere, il piacere del possesso, il piacere del potere, il piacere del talento, il piacere della ricchezza?

Cerchiamo quindi di scoprire se il dolore e la paura possono finire. La ricerca del piacere e’ eterna, infinita: non solo del piacere sessuale ma anche del piacere di diventare qualcosa, il piacere di ottenere, il piacere di provare attaccamento per qualcuno, che sia attaccamento ad una persona, un’idea o una conclusione. Ma, mentre inseguite il piacere, lo accompagna sempre l’ombra della paura. Dove c’e’ paura c’e’ dolore. La paura non e’ separata dal dolore, vanno insieme, sono interconnessi; percio’ dobbiamo affrontarli globalmente, non separatamente. Dovete affrontarli in modo globale, non in modo frammentario. Se li affrontate in modo frammentario, non li risolverete mai.

L’avidita’, il dolore, la sofferenza sono un movimento della vita, un totale movimento della vita, non qualcosa di diverso dalla vita. E’ la nostra vita quotidiana. Per scoprire se c’e’ una fine a tutto questo, alla pena, al conflitto, al dolore, alla sofferenza e alla paura, dobbiamo prima percepirli, dobbiamo riuscire ad esserne consapevoli. Percio’ dobbiamo comprendere che cos’e’la percezione, come guardare tutto cio’. La mancanza, la solitudine, l’ansia, l’insicurezza e la sofferenza sono diverse dall’osservatore, o tutto questo sono l’osservatore?

Abbiamo separato il ‘me’ che osserva da cio’ che osserva. Dico che sto soffrendo e dico a me stesso che la sofferenza deve finire;  e per mettervi fine devo reprimerla, devo fuggirla, devo seguire un determinato sistema. Cosi’ mi rendo diverso dalla paura, dal piacere, dal dolore e dalla sofferenza. Ma siete qualcosa di diverso da tutto cio’? Potreste pensare che in voi c’e’ qualcosa di completamente differente da tutto questo; ma, se lo pensate, fa parte del vostro pensiero e quindi in esso non c’e’ niente di sacro. L’osservatore e’ davvero diverso dall’osservato?

Non cadete nell’assurdo. Se vedete un albero e vi chiedete ;’sono diverso da quell’albero?’, lo siete, mi auguro. Ma quando siete arrabbiati, invidiosi, brutali, violenti, non siete forse tutto questo? Considerate l’importanza di questo fatto. Abbiamo diviso l’osservatore dall’osservato. Cio’ significa che c’e’ una divisione e quindi c’e’ conflitto. Lo controllate, lo reprimete, lo combattete; ma se lo siete, se voi siete il dolore, se voi siete la paura, se voi siete il piacere, siete tutto questo agglomerato. Vedere questo fatto e’ una enorme verita’. Allora non c’e’ piu’ divisione e quindi non c’e’ piu’ conflitto. Allora l’osservatore e’ l’osservato. Avviene cosi’ un’azione completamente diversa, avviene un’attivita’ chimica totalmente diversa.

Non si tratta di riuscire a vederne la verita’ intellettualmente, non e’ un concetto intellettuale di verita’, ma e’ il fatto che non siete diversi dalle vostre qualita’.  Non siete diversi dalla vostra rabbia, gelosia e odio: voi siete tutto cio’. Sapete che cosa accade se lo comprendete non verbalmente, ma dentro di voi? Scopritelo. Non saro’ io a dirvelo! Guardate come funzione la vostra mente: volete che sia io a dirvelo, non volete scoprirlo da soli. Se ve lo dicessi, lo riterreste giusto o sbagliato, e passereste ad altro. Scoprite invece da voi la verita’ di cio’: che l’osservatore e’ l’osservato, che cio’ che vede e’ cio’ che e’ visto.

Se guardate la luna piena, la luna non e’ voi, a meno che non siate lunatici. Ma siete il fascio totale della vostra coscienza. Il contenuto della vostra coscienza e’ cio’ che voi siete, e il contenuto della coscienza e’ creato dal pensiero. Scoprite non la fine del pensiero, ma come osservarne I contenuti. Se osservate senza divisione, avviene un’azione completamente diversa. Dove c’e’ amore non c’e’ osservatore, non c’e’ un voi e un altro che amate; c’e’ solo la qualita’ dell’amore.” [Bombay, terzo discorso pubblico, 29 gennaio, 1983].

 “Interlocutore: Se, come dite, la paura e il piacere sono connessi, si puo’ rimuovere la paura e quindi godere il piacere completamente?

Krishnamurti: Sarebbe bello, no? Portati via tutte le mie paure cosi’ che possa godermi in pace i miei piaceri. Tutti a questo mondo vogliono la stessa cosa, alcuni direttamente, brutalmente, altri sottittilmente, astutamente: fuggire la paura, e aggrapparsi al piacere. Il piacere: voi fumate, e’ un piacere, pure vi si nasconde la sofferenza, perche’ potete buscarvi una malattia. Avete avuto il piacere, come uomo o come donna, sessualmente o altrimenti. Il benessere, eccetera: quando l’altro sembra distante, distaccato, voi siete gelosi, vi adirate, vi sentite frustrati, mutilati.

Il piacere porta inevitabilmente il dolore ( non stiamo dicendo che non possiamo avere il piacere); ma vedete l’intera struttura e saprete allora che la gioia, il vero godimento, la bellezza del godimento, la sua liberta’ non ha nulla a che fare con il piacere e quindi con il dolore o la paura. Se vedrete cio’, la verita’ di cio’, allora capirete il piacere e gli darete il giusto posto.

I.: Ci sono paure utili, se non altro alla sopravvivenza?

K.: Certo. Quando vi trovate davanti ad un pericolo fisico, la risposta naturale e’ proteggersi. E’ la sopravvivenza fisica: ma si tratta di paura o di intelligenza?  Tuttavia noi non applichiamo questa stessa intelligenza alle paure interiori, psicologiche.  Molto semplicemente: il mondo si e’ diviso in nazionalita’ e gruppi religiosi e politici. Tale divisione provoca guerra, odio. E questa guerra ci sta distruggendo, nonostante noi pensiamo di trarre sicurezza dal nazionalismo. Quando uno si rende conto di tutto questo, l’intelligenza assume un’importanza straordinaria. E voi sapete quando questo tipo di intelligenza e’ in azione, e puo’ accadere solo quando non c’e’ paura. [Al di la’ della violenza, Roma, p.62 ( San Diego State College, secondo discorso pubblico, 6 aprile 1970)].

 

Mary Zimbalist: C’e’ un punto di cui lei ha parlato tante volte, ma che continua a ritornare nelle domande e nell’interesse delle persone, ed e’ la paura. Vuole parlarne ancora?

K.: E’ un argomento molto complesso. Esige realmente una forte capacita’ di indagine, perche’ e’ molto sottile, variegato e astratto. Ma e’ anche molto reale, benche’ lo trasformiamo in un’astrazione. C’e’ la realta’ della paura e l’idea della paura, che e’ la paura trasformata in un’idea astratta. Percio’ dobbiamo fare molta chiarezza su cio’ di cui stiamo parlando: l’idea astratta di paura o la paura reale. Lei e io, e tutti coloro che siedono qui con noi, in questo momento non abbiamo paura. Non c’e’ nessun senso di pericolo, di timore. In questo momento non c’e’ paura.

Quindi, la paura e’ tanto un’astrazione, un’idea, una parola, quanto un fatto. Vediamo in primo luogo questi due aspetti. Perche’ in genere trasformiamo le cose in astrazioni? Perche’ vediamo qualcosa di reale e poi lo trasformiamo in un’idea? Perche’ l’idea e’ piu’ facile da inseguire? O perche’ l’ideale e’ il nostro condizionamento? Siamo stati educati alle idee, o nelle idee, e non ad affrontare I fatti? Perche’? Perche’ gli esseri umani in tutto il mondo trattano con astrazioni? Cio’ che dovrebbe essere, che deve essere, che avverra’, eccetera; tutto questo mondo di ideazioni e di ideologie; che sia l’ideologia comunista fondata da Marx e Lenin, oppure le idee capitaliste del cosiddetto libero mercato; o tutto il mondo dei concetti, dei credo e delle idee religiose, e l’elaborazione teologica di queste idee.  Perche’ le idee, gli ideali sono diventati cosi’ straordinariamente importanti? Sin dagli antichi Greci, e ancora prima dei Greci, le idee hanno prevalso. E ancora oggi le idee, gli ideali, separano gli uomini e creano guerre di ogni tipo. Perche’ il cervello degli esseri umani funziona in questo modo?

E’ perche’ non sanno affrontare I fatti e quindi si rifugiano astutamente nelle idee? Se vediamo che le idee sono fattori molto divisivi, che creano attrito, che dividono le comunita’, le nazioni, I gruppi, le religioni, e cosi’ via, vediamo che le idee, i credo, la fede e tutto questo si basano sul pensiero. Ma i fatti, che cosa sono i fatti? Che cos’e’ esattamente un fatto, non un’opinione riguardo a un fatto o un’opinione trasformata in fatto?

M.Z.: Che cos’e’ il fatto della paura?

K.: Ci sto arrivando. Prima dobbiamo porre la distinzione tra l’idea della paura, l’astrazione della parola ‘paura’, e la paura reale. La paura reale e’ il fatto, non la sua astrazione. Se abbandoniamo l’astrazione, possiamo affrontare il fatto. Ma se le due cose continuano a procedere in modo parallelo, c’e’ conflitto tra le due cose. Voglio dire che l’idea, l’ideologia, predomina sul fatto e altre volte il fatto predomina sull’idea.

M.Z.: Molti direbbero che il fatto della paura e’ un’emozione dolorosa.

K.: Osserviamo il fatto ( e ci sto arrivando), il fatto della paura reale, e rimaniamo con questo fatto, cosa che richiede una grande disciplina interiore.

M.Z.: Puo’ specificare che cosa intende con ‘rimanere con il fatto della paura’?

K.: E’ come tenere in mano un gioiello, il complesso lavoro di un artista che ha prodotto questo straordinario gioiello. Lo guardiamo, non lo condanniamo, non diciamo:”Che meraviglia!” e ci rifugiamo subito nelle parole, ma continuiamo a guardare questa cosa meravigliosa creata da mani umane, da abili dita e dal cervello che ha prodotto tutta la cosa. Lo guardiamo, lo osserviamo. Lo giriamo, lo osserviamo da tutti i lati,davanti dietro e di fianco. Lo teniamo li’.

M.Z.: Intende percepirlo con grande attenzione, grande intensita’, grande sensibilita’?

K.:  con attenzione, proprio cosi’.

M.Z.: Lo sentiamo perche’ e’ un’emozione.

K.: Naturalmente. Abbiamo una sensazione di bellezza. La sensazione di un disegno molto complesso, la luce, la brillantezza, il fulgore delle gemme e cosi’ via. Possiamo rimanere con il fatto della paura, guardarla in questo stesso modo, senza dire:” Non mi piace la paura” e diventare nervosi, apprensivi, reprimerla, controllarla, negarla o passare a qualcos’altro? Se riusciamo a farlo, rimanendo semplicemente con la paura, la paura diventa un fattore reale, presente, che ne siamo coscienti o no; e anche se l’abbiamo nascosta molto, molto in profondita’, e’ sempre li’.

Allora possiamo chiedere, con grande attenzione e cautela, che cos’e’ la paura? Perche’ gli esseri umani, dopo questa immensa evoluzione, vivono ancora nella paura? E’ qualcosa che puo’ venire rimosso, asportato come un male, un cancro o  qualunque altra terribile malattia dolorosa? E’ qualcosa che si puo’ operare? Il che presuppone un’entita’ in grado di intervenire, ma questa stessa entita’  e’ un’astrazione che cerca di agire sulla paura; e questa entita’ e’ irreale. Cio’ che e’ reale e’ la paura.

Richiede una profonda attenzione non cadere nell’astrazione di un qualcuno che dice:” sto osservando la paura”, o “Devo sconfiggere la paura o controllare la paura”, e cosi’ via. Cio’ che osserva e’ anch’esso un prodotto della paura. Se questo e’ chiaro, se e’ chiaro che l’osservatore, per usare questo vecchio modo di esprimersi, che l’osservatore e’ l’osservato, che il pensatore e’ il pensato, che l’agente e’ l’azione, non c’e’ piu’ divisione. E se non c’e’ divisione ( un fatto straordinario da comprendere, un fatto, non un’idea che devo capire, il fatto straordinario che non c’e’ divisione tra osservatore e osservato ), non c’e’ conflitto. Il conflitto c’e’ quando c’e’ un osservatore diverso dall’osservato, cosa che fa la maggior parte di voi, vivendo cosi’ in un perenne conflitto. Questo invece e’ diverso.

Possiamo guardare la paura e nell’atto stesso di guardare, di osservare, iniziare a scoprire l’origine della paura, il suo inizio, la sua causa? Perche’ l’atto stesso del guardarla e’ vedere come si forma. Non analizziamo la paura, perche’ l’analizzatore e’ la cosa analizzata; non sezioniamo la paura, ma l’osservazione ravvicinata e delicata rivela il contenuto della paura e il contenuto e’ l’origine, l’inizio, la causa. Dove c’e’ causa c’e’ una fine. La causa non puo’ mai essere diversa dall’effetto. Nell’osservazione, nel guardare, la causa si rivela.

M.Z.: La causa di cui lei parla non e’ quella di una paura individuale, particolare,vero? Lei parla della causa della paura stessa.

K.: Della paura stessa, non delle varie forme di paura. Scoprire come infrangere la paura. Fa parte della nostra cultura esaminare un frammento della paura e quindi occuparci solo di un tipo di paura, non dell’intero albero della paura. Non un ramo specifico, non una foglia specifica, ma l’intera paura, la struttura, la qualita’ della paura. Osservandola da vicino, guardandola, in questo stesso guardare si rivela la sua causa. Non analizziamo per scoprire la causa, ma l’osservazione stessa rivela la causa, che e’ il tempo ed il pensiero. E’ ovvio. In questo modo diventa molto semplice. Tutti concorderanno sul fatto che si tratta del tempo e del pensiero. Se non vi fosse il tempo ne’ il pensiero, non vi sarebbe paura.

M.Z.: Puo’ parlarne piu’ diffusamente? Molti pensano che vi sia qualcos’altro. Come posso dire? Non vedono che il futuro non esiste, pensano :” Ho paura” in dipendenza di una causa, non vedono il coinvolgimento del fattore tempo.

K.: Penso che sia molto semplice. Se non esistesse il tempo, se non si dicesse :” Ho paura per una cosa che ho fatto nel passato, per un dolore che ho sofferto in passato, perche’ qualcuno mi ha ferito e non voglio piu’ essere ferito…”.Tutto questo e’ il passato, il bagaglio che e’ il tempo.  Poi c’e’ il futuro”. Adesso sono questo ma moriro’, perdero’ il lavoro, mia moglie si arrabbiera’ con me”, e cosi’ via. C’e’ questo passato ed il futuro, e noi siamo imprigionati tra le due cose.

Il passato e’ in rapporto al futuro, il futuro non e’ separato dal passato: e’ un movimento di modificazione dal passato al futuro, al domani. Questo e’ il tempo: il movimento del passato, cio’ che sono stato nel passato e cio’ che saro’ in futuro, questo continuo divenire. Anche questo e’ un problema complesso che per il momento non toccheremo. Questa puo’ essere la causa della paura: il divenire.

Quindi, il tempo e’ un fattore fondamentale della paura. Non c’e’ dubbio. Oggi ho un lavoro, oggi ho dei soldi, ho un tetto sulla testa, ma domani o tra centinaia di domani potrei trovarmi senza tutto questo a causa di un incidente, un incendio, la mancanza di un’assicurazione e cosi’ via. Tutti questi fattori sono il tempo. Non e’ la fine del tempo, vediamo che la paura fa parte del tempo. Non chieda:” Posso mettere fine al tempo”, perche’ e’ una domanda stupida. Mi perdoni se ho usato il termine ‘stupida’.

Anche il pensiero e’ un fattore della paura.  Il pensiero ‘sono stato’, ‘sono ma non potro’ essere’. Il fattore del pensiero, che e’ limitato. Questo e’ un altro punto importrante. Il pensiero e’ limitato perche’ si basa sulla conoscenza, la conoscenza e’ sempre cumulativa e cio’ che vi viene aggiunto e’ sempre limitato. Percio’ la conoscenza e’ limitata, il pensiero e’ limitato perche’ il pensiero si fonda sul conosciuto, sulla memoria e cosi’ via.

Il pensiero e il tempo sono i fattori centrali della paura. Il pensiero non e’ separato dal tempo. Sono un’unica cosa, non sono divisi, non sono separati. Questi sono fatti. Questa e’ la causa della paura. E’ un fatto, non un’idea, non un’astrazione che il pensiero ed il tempo e’ la causa della paura. Non sono, ma e’: al singolare.

Allora uno si chiede: come posso fermare il tempo e il pensiero? Perche’ ha l’intenzione, il desiderio, l’anelito di essere libero dalla paura. Cosi’ rimane imprigionato nel suo stesso desiderio di liberta’ e non guarda con grande attenzione la causa. Guardare implica uno stato del cervello in cui non c’e’ movimento. E’come osservare un uccello: se osserviamo un uccello da vicino ( come la colomba che questa mattina si e’ posata sul davanzale ) ne vediamo le penne, gli occhi rossi, la luce negli occhi, il becco, la forma della testa, le ali. Guardiamo con grande attenzione e cio’ che guardiamo con grande attenzione rivela non solo la causa, ma anche il fine della cosa che stiamo guardando.

Questo guardare e’ straordinariamente importante. Possiamo chiederci come mettere fine al pensiero, come essere liberi dalla paura o che cos’e’ il tempo, con tutte le implicazioni di queste domande, ma se guardiamo la paura senza trasformarla in astrazione e’ il vero adesso, perche’ l’adesso contiene tutto il tempo. Il presente contiene il passato, il futuro e il presente. In questa qualita’ del presente possiamo ascoltare con grande attenzione, non solo attraverso l’ascolto delle orecchie, ma ascoltare la parola e andare oltre la parola per vedere la reale natura della paura. Allora non stiamo soltanto leggendo sull’argomento della paura; nell’osservazione, la paura diventa straordinariamente bella, sensibile, viva.

Tutto cio’ richiede una straordinaria capacita’ di attenzione, perche’ nell’attenzione non c’e’ l’attivita’ dell’io. Sono gli interessi egoici della nostra vita che producono la paura.  Il senso dell’io e le mie preoccupazioni, la mia felicita’, il mio successo, il mio fallimento, i miei ottenimenti; sono questo, non sono questo; tutta questa osservazione centrata sull’io con tutte le sue manifestazioni di paura, disperazione, depressione, dolore, ansia, aspirazioni e sofferenze, tutto questo e’ interesse egoico. Che sia in nome di Dio, in nome della preghiera o in nome della fede, e’ interesse egoico. Dove c’e’ intreresse egoico c’e’ per forza paura e tutte le conseguenze della paura.

Allora ci si chiede:  e’ possibile vivere in questo mondo in cui l’interesse egoico predomina, che si tratti del mondo totalitario, con il suo volere e detenere il potere, o del mondo capitalista, che ha anch’esso il suo potere? L’interesse egoico e’ predominante, tanto nel mondo gerarchico della religione cattolica che nel mondo di qualunque religione, l’interesse egoico e’ predominante e percio’ perpetuano la paura. Anche se parlano di pacem in terris, di vivere in pace su questa terra, non lo intendono davvero, perche’ l’interesse egoico, col suo desiderio di potere, posizione, appagamento, e cosi’ via, e’ il fattore che sta distruggendo non solo il mondo, ma anche le straordinarie capacita’ del cervello.

Il cervello ha capacita’ straordinarie, come rivela il mondo tecnologico, le cose straordinarie che sta facendo.  Ma non applichiamo mai queste straordinarie capacita’ all’interno per essere liberi dalla paura, per mettere fine alla sofferenza, per scoprire con l’intelligenza che cos’e’ l’amore e la compassione. Non indaghiamo, non esploriamo mai questo ambito; siamo imprigionati nel mondo con tutte le sue miserie. [Brockwood Park, seconda conversazione con Mary Zimbalist, 5 ottobre 1984].

 

Che cos’e la paura? Non stiamo trattando con idee, con parole. Stiamo trattando con la vita, con cio’ che accade all’interno e all’esterno, il che richiede una mente molto chiara, affilata e precisa. Non potete essere sentimentali o emotivi riguardo a queste cose. Per comprendere la paura occorre chiarezza; non chiarezza su qualcosa da ottenere ma la chiarezza che nasce quando comprendete che il fatto e’ infinitamente piu’ importante di qualunque idea. Che cos’e’ la paura, e non la paura di qualcosa? Esiste una paura di per se’, oppure la paura e’ sempre collegata a qualcosa? C’e’ la paura?

Prendero’ ad esempio la morte ( voi potete usare l’esempio che preferite). C’e’ paura se no c’e’ pensiero, cioe’ se non vi fosse il tempo? Tutti hanno paura della morte. Per quanto cerchino di razionalizzarla, quali che siano le loro credenze, c’e’ paura della morte. Questa paura e’ causata dal tempo: non dalla morte, ma dal tempo. Il tempo e’ l’intervallo tra adesso e cio’ che accadra’, il che e’ il processo del pensiero che crea la paura dell’ignoto. E’ la paura dell’ignoto o la paura di abbandonare le cose che conosciamo?

Abbiamo paura della morte. Non stiamo parlando della morte o di cio’ che accade dopo la morte; stiamo parlando della paura in relazione alla morte. Mi chiedo: questa paura e’ causata da qualcosa che non conosco? Ovviamente non conosco la morte. Posso conoscerla, ma non e’ questo il punto in questione. Posso indagare, scoprire la bellezza o la bruttezza o lo spavento, lo stato straordinario che deve essere la morte.

La paura relativa alla morte e’ causata dalla morte, ovvero dall’essere di fronte all’ignoto? O e’ causata dalle cose  che so che mi verranno tolte? La paura riguarda le cose che mi verranno tolte, il ‘me’ che scompare nell’oblio. Percio’ inizio a proteggermi attraverso tutte le cose che conosco e vivo piu’ intensamente in esse, mi afferro alle cose invece di diventare consapevole dello sconosciuto.

Di che cosa ho  paura? Non di essere di fronte all’ignoto, ma di dover affrontare qualcosa che potrebbe accadermi quando mi verranno tolte le cose che ho care, che mi sono vicine. E’ di questo che ho paura, non della morte. Ma che cos’ho in realta’, e non in teoria? Non so se vi siate mai posti questa domanda fondamentale per scoprire che cosa siete.

Vi siete posti questa domanda e avete trovato una risposta? C’e’ una risposta? Se c’e’ una risposta, non e’ nei termini di quello che conoscete gia’. Quello che conoscete e’ il passato, il passato e’ il tempo e il tempo non e’ ‘voi’. Il ‘voi’ cambia. Una cosa viva non genera mai paura. E’ la cosa passata, o la cosa che dovrebbe essere, che produce paura.

Siamo intrappolati nelle parole. Perche’ e’ diventata importante la parola e non la cosa? Perche’ potete giocare con le idee, ma non potete giocare con il fatto. Siamo schiavi delle parole. Quindi, per comprendere la paura, deve esserci consapevolezza della parola e del contenuto della parola, il che significa che la mente deve essere libera dalle parole. La liberta’ dalle parole e’ uno stato straordinario. Essere consapevoli del simbolo, della parola, del nome, e’ consapevolezza del fatto in una maniera diversa, se posso usare questa parola.

Sono consapevole del fatto della paura attraverso la parola e so perche’ la parola viene in essere. E’ una fuga, e’ tradizione, e l’ambiente in cui sono stato allevato: negare la paura e sviluppare il coraggio, il suo opposto. E tutto il resto. Quando comprendo tutte le implicazioni della parola c’e’ la consapevolezza del fatto, che e’ qualcosa di completamente diverso. [Varanasi, quinto discorso pubblico, 10 gennaio 1962].

 

Questo mondo non ha bisogno di politici o di altri ingegneri, ma di esseri umani liberi. Ingegneri e scienziati possono essere necessari, ma a mio parere il mondo ha bisogno di esseri umani liberi, creativi, che non hanno paura, mentre la maggior parte di noi e’ mossa dalla paura. Se scendete in profondita’ nella paura e la comprendete realmente, scoprirete l’innocenza e quindi la mente sara’ chiara. Questo e’ cio’ di cui abbiamo bisogno e per questo e’ molto importante capire come guardare un fatto, come guardare la paura. Questa e’ la totalita’ del problema: non come sbarazzarsi della paura, non come diventare coraggiosi, non che cosa fare riguardo alla paura, ma rimanere pienamente con il fatto.

Volete essere pienamente, totalmente nell’onda del piacere, non e’ vero? E lo siete. Quando siete nel momento del piacere non c’e’ condanna, giustificazione o rifiuto. Non c’e’ il fattore tempo nel momento in cui provate piacere fisico, sensoriale; tutto il vostro essere vibra assieme ad esso. Non e’ forse cosi’? Quando siete nel momento dell’esperienza non c’e’ il tempo. Quando siete profondamente arrabbiati, o quando siete pieni di desiderio, non c’e’ il tempo. Il tempo, e il pensiero, interviene solo dopo il momento dell’esperienza, quando dite :”Che bello!” o “Che orrore!”. Se e’ stato bello, ne volete ancora; se e’ stato orribile, spaventoso, cercherete di evitarlo; e cosi’ cominciate a spiegare, a giustificare o condannare, tutti fattori del tempo che vi impediscono di guardare il fatto.

Avete mai guardato la paura? Vi prego, ascoltate questa domanda attentamente. Avete mai guardato la paura? O, nel momento in cui siete consapevoli della paura, siete gia’ in uno stato di fuga dal fatto? Lo approfondiro’ meglio e capirete che cosa sto dicendo.

Noi denominiamo, diamo un nome alle nostre sensazioni. Dicendo:” Sono arrabbiato”, abbiamo dato un nome, una definizione, un’’etichetta’ ad una particolare sensazione. Vi prego, osservate la vostra mente con chiarezza. Quando provate una sensazione le date un nome e la chiamate rabbia, lussuria, amore o piacere. Non fate cosi’? Questo denominare la sensazione e’ un processo dell’intelletto che vi impedisce di guardare il fatto, ovvero la sensazione.

Se vedete un uccello e vi dite che e’ un pappagallo, un piccione o un corvo, non state vedendo l’uccello. Avete gia’ smesso di guardare il fatto, perche’ la parola ‘pappagallo’, ‘piccione’ o ‘corvo’ si e’ interposta tra voi e il fatto.

Non si tratta di nessuna ardua prodezza intellettuale, ma di un processo della mente che va semplicemente compreso. Se volete calarvi nel  problema della paura, nel problema dell’autorita’, nel problema del piacere o nel problema dell’amore, dovete vedere che dare un nome, applicare un’etichetta, vi impedisce di guardare il fatto. Capite?

Vedete un fiore e dite che e’ una rosa, e nel momento in cui lo denominate la vostra mente si distrae: non date piu’ la vostra piena attenzione al fiore. Percio’ denominare, etichettare, verbalizzare e applicare simboli impedisce la totale attenzione al fatto.

Puo’ la mente, che e’ drogata dai simboli e la cui paura stessa e’ la verbalizzazione, smettere di verbalizzare e guardare il fatto? Non chiedete “Come si fa?”, ma ponete la domanda a voi stessi. Ho una sensazione e la chiamo paura. Dandole un nome l’ho collegata al passato; e cosi’ la memoria, la parola, il simbolo impedisce di vedere il fatto.. Puo’ la mente, il cui processo del pensiero e’ quello di verbalizzare, di applicare nomi, guardare il fatto senza denominarlo? Dovete scoprirlo da voi, non posso dirvelo io. Se ve lo dicessi, e se voi lo faceste, stareste seguendo un altro e non sarete mia liberi dalla paura. L’importante e’ essere totalmente liberi e non esseri umani semi-morti, persone corrotte e infelici che hanno eternamente paura della loro ombra.

Per comprendere il problema della paura, dovete scendervi dentro in profondita’ , perche’ la paura non e’ solo alla superficie della mente. La paura non e’ solo la paura degli altri o di perdere il lavoro; e’ molto piu’ profonda e comprenderla richiede penetrarla in profondita’. Per penetrare in profondita’  e’ necessaria una mente molto affilata, ma la mente non si puo’ affilare mediante la semplice argomentazione o la fuga. Bisogna entrare nel problema un passo alla volta. Per questo e’ cosi’ importante comprendere l’intero processo della denominazione. Se denominate un gruppo di persone chiamandole ‘musulmane’, o quello che volete, e’ come se ve ne foste sbarazzati. Non dovrete piu’ vederle come individui . Il nome, la parola, vi ha impedito di essere esseri umani in rapporto con altri esseri umani. Allo stesso modo, quando date un nome ad una sensazione non state piu’ guardando la sensazione, non siete piu’ totalmente con il fatto.

Vi sono innumerevoli vie di fuga dalla paura: ma se fuggite, se scappate, la paura vi inseguira’ sempre. Per essere completamente liberi dalla paura dovete comprendere il processo di denominare e capire che la parola non e’ mai la cosa. La mente deve essere capace di separare la parola dalla sensazione, senza lasciare che la parola interferisca con la percezione diretta della sensazione, che e’ il fatto.

Questa cosa straordinaria che chiamiamo solitudine e’ l’essenza stessa dell’io, del ‘me’, con tutti i suoi imbrogli, le sue astuzie, le sue solitudini, la sua rete di parole in cui la mente rimane imprigionata. Solo quando la mente e’ capace di andare al di la’ di questa assoluta solitudine c’e’ liberta’, totale liberta’ dalla paura. E solo allora scoprirete da voi che cos’e’ la realta’, questa infinita energia priva di inizio e fine. Finche’ la mente dissemina le sue paure in termini di tempo, non potra’ comprendere cio’ che e’ senza tempo. [New Delhi, quarto discorso pubblico, 24 febbraio 1960].

 

 

J. Krishnamurti: Riflessioni sull’io , Ubaldini editore, 2009, Roma  ( Reflections on the self, Open Court, Chicago and LaSalle, Illinois, 1997)

 

 

 

 

 

 

 

 

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