Thursday, 21 January 2016

Omaggio a Timoty Leary, Jan 2016.

Od omaggio di T. Leary al Giappone?
Serigrafia fermata.
Nella strada delle librerie, Jimbocho, Tokyo

Saturday, 16 January 2016


Murakami Aruki: “I salici ciechi e la donna addormentata”, Einaudi Super T, 2010, 2012,2013.  Titolo originale: ‘Mekurayamagi, to nemuru onna’, 2006. Raccolta di racconti



“…Ma era soprprendente quante cose avessimo da dirci. Qualunque fosse l’argomento, conversare insieme era piacevole e avremmo potuto andare avanti per ore…Era un sentimento molto diverso da quello che viene comunemente chiamato ‘amore’. Si trattava di una condizione ben piu’ vicina all’empatia ( corsivo mio)…

Poi andammo a letto insieme…nessuno dei due provo’ al riguardo un senso di colpa…. era una cosa di cui avevamo veramente sentito la necessita’. Fu un atto calmo, gradevole, semplice, essenziale. …la parte piu’ bella venne dopo…sussurravamo tra noi a bassa voce, parlavamo di cose che capivamo soltanto noi…”. pp.128-129



Fragilita’:



“ …fin da bambino ero il tipo che non si rilassava mai. Vedevo sempre dei limiti tutt’intorno a me, e facevo in modo di non superarli. Si, avevo sempre davanti agli occhi una sorta di percorso guidato. Come se fossi su un’autostrada e mi venisse ricordato di tenermi sulla destra, di fare attenzione alla curva, di rispettare il divieto di sorpasso e cosi’ via. Se mi fossi attenuto alle indicazioni ricevute, sarei andato avanti senza problemi. Bastava che mi comportassi cosi’, qualsiasi cosa facessi, e tutti mi avrebbero apprezzato. Da piccolo pensavo che funzionasse cosi’ anche per gli altri, ma poco a poco mi resi conto che mi sbagliavo.”. pp.74



“ …Gli esseri umani stando soli diventano fragili….non mi sono mai sentito cosi’ solo in vita mia. E’ stato terribile. Quindi vorrei che tra me e te ci sia un’unione piu’ forte. Vorrei la prova che anche se viviamo lontani, siamo comunque legati l’uno all’altra.” pp.81



” …se quella valigia fosse scomparsa, Izumi sarebbe rimasta l’unico legame con la mia vita precedente. E in quel caso, mi pareva, avrei perso di vista la mia stessa persona. …Era in un grosso guaio, la mia coscienza. Doveva tornare in Giappone e rientrare nel corpo originario. Ma si trovava su un aereo che stava sorvolando l’Egitto. Mi sembrava che il corpo di quel momento fosse fatto di stucco. Bastava grattare un po con le unghie per sgretolarlo. Si stava sbriciolando tutto…..Per tutto il tempo Izumi mi tenne la mano. Non diceva nulla, ma dava l’impressione di capire cosa stavo pensando.,,,,In quel momento farla finita era il mio unico desiderio….Come il tremito passo’, di colpo mi sentii molto leggero. Mi rilassai e mi abbandonai al trascorrere del tempo.”. pp.133




A.1 A.2


B.1

Due mostre in questo periodo a Beijing:
A. The Winter Group Exhibition, EGG Gallery
B. Xu Lei Solo Exhibition, Central National Academy of Arts, Beijing

Enjoy...

Wednesday, 13 January 2016

Trittico. 'Omaggio a Shunryu Suzuki-roshi', Inchiostri e carte, dicembre '15.

Philip Roth, La macchia  umana, Einaudi, 2001

  

“Ma quando capita, quando due uomini si trovano d’accordo su questa parte essenziale dell’essere uomo, senza timore di essere giudicati, svergognati, invidiati o sorpassati, sicuri che nessuno tradira’ la loro fiducia, il loro rapporto puo’ essere fortissimo e dare come conseguenza un’inattesa intimita’.” (pp.31-32)



“C’e’ il desiderio di liberare il bruto, di sfogare quella forza: per mezz’ora, per due ore, per tutto il tempo che vuole: sentirsi libero di fare la cosa che gli viene naturale. E’ stato sposato a lungo. Ha avuto dei figli. Era Preside di facolta’ di un college. Per quarant’anni ha fatto quello che si doveva fare. Era un uomo indaffarato, e quella cosa naturale che e’ il bruto e’ rimasta chiusa in una scatola.  E ora quella scatola si e’ aperta. Essere Predide di facolta’, essere un padre, essere un marito, essere uno studioso, un insegnante, leggere libri, tenere lezioni, correggere compiti, dare voti… Tutto questo e’ finito. A settantun anni non sei, naturalmente, il bruto focoso e assatanato che eri a ventisei. Ma i resti del bruto, i resti della cosa naturale…E’ con i resti che mantiene il contatto. E la coseguenza e’ che e’ felice, e’ grato di questo contatto. E’ piu’ che felice: e’ eccitato, ed e’ gia’ legato, profondamente legato a lei, a causa di questa eccitazione. Non e’ la famiglia a fargli questo effetto: la biologia non gli serve piu’. Non e’ la famiglia, non e’ la responsabilita’, non e’ il dovere, non e’ il denaro, non e’ una filosofia condivisa ne’ l’amore per la letteratura, non sono le profonde discussioni di grandi idee. No, a legarlo a lei e’ l’eccitazione. Domani gli scoprono un cancro e buonanotte. Ma oggi puo’ provare questo brivido.” (pp.37-38).

“Voglio dire che, venendo qui, io avevo cambiato deliberatamente I miei rapporti con lo stimolo sessuale, e non perche` le sue esortazioni ( o, se e` per questo, le mie erezioni ) fossero state effettivamente indebolite dal tempo, ma perche’ non potevo piu’ sostenere i costi del suo rumoreggiare, non avevo piu` lo spirito, la forza, la pazienza, l`illusione, l`ironia, l`ardore, l`egoismo, l`elasticita` - o la durezza, o la furbizia, o la falsita’, la dissimulazione, la duplicita`, il professionismo erotico – per affrontare il suo spiegamento di significati ingannevoli e contraddittori. Di conseguenza potei attutire un po lo choc postoperatorio che provai di fronte  alla prospettiva di uno stato di impotenza permanente ricordando che l` intervento chirurgico non aveva fatto altro che obbligarmi ad una rinuncia alla quale mi ero gia’ sottoposto volontariamente. L`operazione non fece altro che  dare definitivo vigore ad una decisione alla quale ero arrivato da solo, sotto la pressione di un`esperienza di relazioni amorose durata tutta la vita, ma in un momento di Potenza piena, irrequieta e vigorosa, quando l`avventurosa coazione maschile a ripetere l`atto sessuale  - a ripeterlo in continuazione – non era scoraggiata da problemi fisiologici. Fu solo quando Coleman mi parlo` di se` e della sua Voluptas che tutte le consolanti illusioni sulla serenita` conquistata grazie a una superiore rassegnazione svanirono, e io persi totalmente l`equilibrio.” ( pp. 42)



“Dipendeva dal fatto che l’allenatore di Pitt ignorava che lui era di colore? O dal fatto che soltanto lui sapeva chi era veramente? Coleman amava i segreti. Che nessuno sapesse cosa ti passava per la testa; che potevi pensare tutto quello che volevi senza che nessuno avesse modo di saperlo. Tutti gli altri non facevano che ciarlare di se stessi. Ma non era li’ la forza, e neppure la soddisfazione. La forza e la soddisfazione erano nel giocare di rimessa nelle confessioni, come si boxava di rimessa; e Colemdan questo lo sapeva senza che qualcuno dovesse dirglielo e senza doverci pensare lui stesso. Ecco perche’, quando si allenava, amava boxare con l’ombra e lavorare al sacco: per l’intima segretezza dell’allenamento solitario. Ecco perche’ amava anche l’atletica leggera, ma il pugilato era ancora meglio. Certi ragazzi non facevano altro che picchiare, picchiare e picchiare sul sacco. Coleman no. Coleman pensava, nello stesso modo in cui pensava a scuola o durante una gara: escludi tutto il resto, non incamerare altro ed immergiti nella cosa, nella materia, nella competizione, nell’esame: qualunque cosa tu voglia conoscere a fondo, cerca di diventare quella cosa”. (p.112)



“No alla tirannia del ‘noi’ e alla prima persona plurale con cui essa si esprime e a tutto cio’ che il ‘noi’ ti vuole ficcare in testa. Non era per Coleman la tirannia del ‘noi’ che muore dalla voglia di assimilarti, lo storico ed inevitabile noi morale coercitivo e assorbente col suo insidioso E plurimus unum.   Ne’ il ‘loro’ di Woolworth, ne’ il ‘noi’ di Howard. L’io nudo e crudo invece, con tutta la sua agilita’. Andare alla scoperta di se stessi: ecco il vero pugno alla labonza. La singolarita’. La lotta appassionata per la singolarita’. Il singolo essere umano. La mobile relazione con ogni cosa. Non statica, ma mobile. Autocoscienza, ma dissimulata. Cosa c’e’ di altrettanto potente?”  (p.122).



“Mi chiedo cosa faccia

Dopo avermi inghiottita tutta intera.   (p.129).



“… Si’, sono mesi, ormai, che ci penso, di tanto in tanto. Perche’ no? Se ci sono degli uomini che sono chiusi nel corpo di una donna e delle donne che sono chiuse nel corpo di un uomo, perche’ non posso essere una cornacchia chiusa in questo corpo? Si’, e dov’e’ il dottore che mi fara’ quello che fanno per farmi uscire? Dove vado a farmi fare l’operazione che mi permettera’ di essere quello che sono? Con chi posso parlare? Dove vado e cosa faccio e come cazzo ne vengo fuori?

Sono una cornacchia. Lo so. Lo so! “ (p.188)



“Poi lo dice ad alta voce. – Sai una cosa? Io ti vedo.

Davvero ? – dice lui – allora adesso comincia l’inferno…….

-        Continua a ballare………

-        Questo, questo e’ l’importante, - disse lei. – Se io smettessi di pensarla cosi’…..

…….

-        Tu sei troppo giovane per me, Coleman. Guardati. Sei solo un ragazzino che s’innamora della maestra di piano. Ti stai innamorando di me, Coleman, e sei troppo, troppo giovane per le donne come me. Io ho bisogno di un uomo molto piu’ vecchio. Forse ho bisogno di un uomo che abbia almeno cent’anni. Hai un amico sulla sedia a rotelle al quale potermi presentare? Le sedie a rotelle vanno benissimo: posso ballare e spingere allo stesso tempo. Magari hai un fratello maggiore. Guardati, Coleman. Tu che mi guardi con quegli occhi da scolaretto: ti prego, ti prego, telefona al tuo amico piu’ vecchio. Io continuero’ a  ballare, fallo solo venire al telefono. Voglio parlare con lui.

E sa, mentre lo dice, che e’ proprio questo, e il ballo, che lo sta facendo innamorare di lei.  Ed e’ talmente facile! Ho attirato tanti uomini, tanti cazzoni, I cazzoni mi trovano e vengono da me, non soltanto gli uomini col cazzo, non quelli che non capiscono, che sono circa il novanta per cento, ma uomini, ragazzi, quelli maschi veramente, quelli come Smoky, che capiscono davvero. Ti puoi battere il petto per le cose che non hai, ma quello io ce l’ho, anche vestita di tutto punto, e alcuni lo sanno: sanno di che si tratta, ed e’ per questo che mi trovano, ed e’ per questo che vengono da me, ma questo…questo…questo…e’ come rubare la caramella ad un bambino. Certo che lui se lo ricorda. Come potrebbe non ricordare? Una volta assaggiato, te lo ricordi. Dio, dio! Dopo duecessessanta pompini, quattrocento scopate in piena regola e centosessanta cazzi in culo, comincia l’amore. Ma e’ cosi’ che vanno le cose. Hai mai amato qualcuno, prima di scopare? Quante volte ho amato, io, dopo la scopata? O e’ proprio questo a rompere il ghiaccio?

-        Vuoi sapere come mi sento? – gli domanda.

-        Si’.

-        Mi sento cosi’ bene!

-        Allora – chiede lui – chi potra’ uscirne vivo?

-        Qui sono d’accordo con te, mister. Hai ragione, Coleman. Questa storia ci portera’ alla catastrofe. Dentro fino al collo a settantun anni? Stregato da tutto questo a settantun anni? Uhm. Faremmo meglio a tornare alla cosa nuda e cruda.

-        Continua a ballare – dice lui, e preme il tasto sul Sony portatile facendo ripartire la registrazione di The Man I Love.

-        No. No. Ti prego. Ho una carriera da bidella a cui pensare.

-        Non fermarti.

-        “Non fermarti”, - ripete lei. – Ho gia’ sentito queste parole -.In effetti, di rado ho sentito il verbo “fermarsi” senza che fosse preceduto da una negazione. Non da parte di un uomo. E nemmeno da parte sua. – ho sempre creduto che “nonfermarsi” fosse una parola sola, - dice.

-        Lo e’. Continua a ballare.

-        Allora non sprecare l’occasione. – dice lei. – Un uomo ed una donna in una stanza. Nudi. Abbiamo tutto il necessario. Non abbiamo bisogno dell’amore. Non svalutarti: non mostrarti uno stupido sentimentale. Muori dalla voglia di farlo, ma non lo fare. Non perdiamo tutto questo. Pensa, Coleman, pensa: riuscire a mantenere tutto questo.

Non mi hai mai visto ballare in questo modo, non mi hai mai sentito parlare in questo modo. E’ passato troppo tempo da quando parlavo in questo modo, tanto che credevo di avere dimenticato come si fa. Sempre nascosta, per tutto questo tempo. Nessuno mi ha sentito parlare in questo modo. Nei Boschi, qualche volta, gli sparvieri e le cornacchie, ma per il resto, nessuno……………



Oh, io ti vedo, Coleman. Potrei donarti per tutta la vita e continuare ad averti. Solo ballando. Non e’ vero? Sbaglio? Ti piace, Coleman?............

-        Continua a ballare.

-        Io ti vedo, Coleman. Ti vedo. Vuoi sapere cosa vedo?

-        Certo.

-        Vuoi sapere se vedo un vecchio, no? Hai paura che io veda un vecchio e scappi via. Hai paura che, se vedo tutte le differenze da un giovane, se vedo le cose cascanti e le cose che non ci sono piu’, mi perdedai. Perche’ sei troppo vecchio. Sai, invece, cosa vedo?

-        Cosa?

-        Vedo un ragazzino. Vedo che t’innamori come un ragazzino. E non devi. Non devi. Che altro vedo, lo sai?

-        Si’.

-        Ora lo vedo… Vedo un vecchio, si’. Vedo un vecchio moribondo.

-        Dimmi.

-        Hai perso tutto.

-        Lo vedi?

-        Si’. Tutto tranne me, che sto ballando. Vuoi sapere cosa vedo?

-        Cosa?

-        Non meritavi quelle carte, Coleman. Ecco cosa vedo. Vedo che sei furibondo. Ed e’ cosi’ che andra’ a finire. Con un vecchio furibondo. E non sarebbe dovuto andare cosi’. Ecco quello che vedo: il tuo furore.. Vedo la rabbia e la vergogna. Vedo che, da vecchio, tu capisci cos’e’ il tempo. Questo non lo si capisce fin quasi alla fine. Ma tu ora lo capisci. Ed e’ spaventoso. Perche’ non puoi tornare indietro. Non puoi avere dinuovo vent’anni. Non torneranno piu’.  Ed e’ cosi’ che e’ finita. E c’e’ qualcosa di peggio che morire, c’e’ persino qualcosa di peggio che essere morto, e sono quei bastardi del cazzo che ti hanno fatto questo. Ti hanno portato via tutto. In te io vedo questo, Coleman. Lo vedo perche’ e’ una cosa che conosco. Quei bastardi del cazzo che in un lampo hanno cambiato tutto…….

-        Non immaginavo che tu avessi seguito questa storia.

Ride, Faunia, la sua facile risata. E balla, senza idealismi, senza idealizzazioni, senza tutte le utopie dell’angioletto, con tutto cio’ che sa della realta’, malgrado l`irreversibile futilita` della sua vita, malgrado tutta la sua durezza e il suo caos, Faunia balla! E parla ad un uomo come non ha mai parlato prima. Le donne che scopano come lei non dovrebbero parlare cosi: questo, almeno, e` cio` che amano pensare gli uomini che non scopano donne come lei. Questo e` cio` che amano pensare le donne che non scopano come lei. Questo e` cio` che tutti amano pensare: quella stupida di Faunia!  Be`, facciano pure. Prego. – Si`, quella stupida di Faunia ha seguito questa storia, - dice. – Altrimenti, se non si guardasse, attorno, come fare, quella stupida di Faunia, a sopravvivere? Diventare quella stupida di Faunia: ecco la la conquista, Coleman; quella stupida di Faunia sono io al colmo della mia ragionevolezza. Il fatto e’, Coleman, che ti ho visto ballare. Come lo so? Perche’ sei con me. Perche’ saresti con me, se tu non fossi cosi’ arrabbiato? E perche’ io sarei con te, se non fossi cosi’ arrabbiata? Ecco cio’ che favorisce le grandi scopate, Coleman. La rabbia che demolisce ogni cosa. Non perderla, dunque.

-        Continua a ballare.

-        Fino a quando crollero`? – domanda lei.

-        Fino a quando crollerai, - le dice lui. – Fino all`ultimo respiro.

-        Come vuoi.

-        Dove ti ho trovato, Voluptas? – dice lui. – Come ti ho trovato? Chi sei? – chiede, premendo il tasto che fa ripartire The Man I Love.

-        Sono tutto quello che vuoi.”  ( pp. 251-258).



“ l dolore sparisce con quest’uomo. Basta il su e giu’ della sua voce, mi basta sentirlo, per tranquillizzarmi.”  (p.261).



“ Era passato del tempo da quando si era messa a cercare dei sistemi per abbandonare la razza umana….Era solo che li’ si sentiva a suo agio, con il serpente, la cornacchia e la lince impagliata, nessuno dei quali voleva insegnarle un bel niente” ( p.263-265). ( il grassetto e’ mio).

“…E’ quello che succede quando crescono in cattivita’ – disse Faunia. Ha passato tutta la vita con gente come noi, e questo e’ il risultato. La macchia umana -  disse………. Gia’, credo sia proprio questa la tragedia delle cornacchie tirate su dagli esseri umani – rispose la ragazza, senza cogliere esattamente il senso della frase di Faunia, ma anche senza mancarlo del tutto. – Non riconoscono i membri della loro specie. Lui, per esempio, non li riconosce. Mentre dovrebbe. Si chiama imprinting, - disse la ragazza. – Prince, in realta’, e’ una cornacchia che non sa cosa vuol dire essere una cornacchia.”  (pp. 266-268).



“Ma il pericolo dell’odio e’ che, una volta cominciato a coltivarlo, hai cento volte piu’ di quanto ti aspettassi. Una volta cominciato, non ti fermi piu’. Non conosco nulla di piu’ difficile da controllare dell’odio. E’ piu’ facile smettere di bere che smettere di odiare. Ed e’ tutto dire “ (p.360).

“ Cosa penseresti – le chiese – se ti dicessi che io non sono bianco? ( p.373 ).

“Ero stato invitato a vedere il piccolo universo della Famiglia Silk che Coleman aveva buttato a mare, come se fosse un peso, per vivere in una sfera commisurata alla sua scala di valori: per diventare un’altra persona, la persona che gli andava bene, e forgiarsi il proprio destino lasciandosi soggiogare da altre cose. Tutto aveva buttato a mare,….Per diventare un nuovo essere umano. Per biforcarsi… il grande dramma che e’ saltar su e andarsene; e l’energia e la crudelta’ richieste da questo frenetico impulso” (pp.374-375).


Saturday, 9 January 2016

Su Xinping e Li Xianting ad una mostra di Su nel 2015.
Quaderni Giapponesi, Coconino Press, Fandango, 2015: Intelligente e delicato omaggio a fumetti al Giappone da parte di Igort.

Qui alcuni stralci:


Friday, 8 January 2016

Sovente karasu si riposa su di un ramo fuori dal mio balcone, la mattina presto.



Meiji-jingumae - stazione 15 Fukutoshin Line – uscita 5.

Devo andare al Tokyo Plaza. Ultimo acquisto prima di Natale. Domani rientro. Ho visto l’altra settimana dei portafogli interessanti  e ne prenderei un paio  per M&O.  Esco alla luce. La giornata e’ stupenda. Sole, cielo blu, un venticello dal nord. Un mare di gente, come sempre.

Mi trovo subito in un mercatino dell’usato, nel senso che le strutture in ferro con kimono e ogni altro genere di abito giapponese iniziano qui, non piu’ di due metri fuori dall’uscita della metro. Mi lascio attrarre. Tutti belli lavati, kimono, giacche e altro di seconda mano, ma poca roba. Sul fondo, contro il muro, alcuni interessanti vestiti lunghi fino ai piedi, alcuni ricamati, riccamente ricamati: fiori, uccelli, gru benauguranti, soli nascenti, paesaggi; altri stampati. Un kimono femminile, tutto ricamato in ricchi gialli rossi e verdi, pesante. Lo guardo, lo tocco, lo soppeso. Un’americana di origine asiatica si avvicina e fa lo stesso. E' interessata ( io no, ma l’oggetto e’ bello), ma il prezzo e’ esorbitante. Vicino, alcuni pastrani attirano la mia di attenzione. 5-6 pastrani neri lunghi fin sotto al ginocchio, giusto sopra la caviglia, di quelli  ‘di una volta’, col la mantella a vita.  Ho sempre amato le mantelle, la misteriosita’ della mantella. Nei primi anni settanta era tornata in auge, o meglio, alcuni avevano ripreso a indossarla. Ricordo il Razzo,  completa marrone. Animale notturno, quasi sempre una sigaretta o similia nella mano destra. Gianni invece ce l’aveva nera, la mantella.  Riproduzione baudelairiana, rembauiana nei boschi autunnali del bovesano. I colori si confondono: legno, foglie secche a terra, ricci aperti e castagne da raccogliere, marroni grossi cosi’, come quelli da fare glasse’. Bicchieri di vino la sera intorno ad un fuoco. La mantella si confonde, sparisce col tutto. Colore dentro colore.  50 tonalita’ di marrone, il colore della terra, tra terra e fuoco.

Non e’ una mantella vera, ma un pastrano con mezza mantella , copiata dallo stile occidentale del tempo, ma adattata ai costume giapponesi, ed al clima non cosi’ freddo, senza quindi le maniche, ma uno spazio considerevole vuoto che rende i movimenti liberi e leggeri. ‘Mobo style’, sembra, vale a dire lo stile dei ‘giovani di sinistra’ degli anni trenta in Giappone, poi vietato dalle autorita’. Un misto di sinistrismo e dandismo… Insomma, senza sapere tutto cio’, lo prendo. Yen 9995,  settanta euro circa, di oggi.

A casa, lo analizzo meglio. Nella tasca interna, un foglio, una fattura della Tokeo Company, produttrice di orologi. La fattura e’ per Yen 17,45, datata 16 febbraio 1941 ( 16mo anno del periodo Showa -  il periodo dell’Imperatore prima di quello attuale). Insieme alla fattura, ma non necessariamente collegata, se non per il fatto di essere stata abbandonata nella stessa tasca  nello stesso momento, un biglietto da visita intestata ad una persona abitante nell’area Shimura Maeno, Itabashi District, Tokyo.

Usato poco, direi. Le condizioni del pastrano sono ottime. Recuperato e lavato senza controllare le tasche….L’11 dicembre di quell’anno i japponesi attaccarono Pearl Harbour. Probabilmente non lo utilizzo’ quell’inverno, probabilmente era da qualche altra parte.

Tokyo, 8 gennaio 2016

Monday, 4 January 2016


Giorgio Agamben

“ Il fuoco e il racconto”

nottetempo, 2014





Cap. 4: Che cos’e’ l’atto di creazione?



Deleuze non definisce che cosa significhi “resistere” e sembra dare al termine il significato corrente di opporsi a una forza o a una minaccia esterna. Nella conversazione sulla parola “resistenza” nell’Abecedario, egli aggiunge, a proposito dell’opera d’arte, che resitere significa sempre liberare una Potenza di vita che era stata imprigionata o offesa. …

.. l’atto di creazione ha costitutivamente a che fare con la liberazione di una Potenza. Penso tuttavia, che la Potenza che l’atto di creazione libera debba essere una Potenza interna allo stesso atto, come interno a questo deve essere anche l’atto di resistenza…. Aristotele oppone, e, insieme, lega la Potenza ( dynamis ) all’atto (energeia)…e’ attraverso questa opposizione che Aristotele spiega quelli che noi chiamiamo atti di creazione, che per lui coincidevano piu’ sobriamente con l’esercizio delle technai (arti nel senso piu’ generale della parola)…. La potenza ( di cui parla Aristotele) non e’ potenza generica…, ma quella che compete a chi ha gia’ acquisito l’arte o il sapere corrispondente. Aristotele chiama questo potere hexis, da echo, “avere”: l’abito, cioe’ il possesso di una capacita’ o abilita’ ( abitudine). Colui che possiede – o ha l’abito di – una Potenza puo’ tanto metterla in atto che non metterla in atto . La Potenza – questa e’ la tesi geniale, anche se in apparenza ovvia, di Aristotele – e’ cioe’ definita essenzialmente dalla possibilita’ del suo non-esercizio. La potenza e’ una sospensione dell’atto  ( in politica, la funzione del provocatore, che ha il compito di forzare chi ha il potere ad esercitarlo)…. Signoria di una privazione.

Dal fatto che la potenza sia definita dalla possibilita’ del suo non-esercizio, egli trae la conseguenza  di una costitutiva coappartenenza di potenza e impotenza. “L’impotenza [adynamia]”, egli scrive {Met. 1046a, 29-32}, “e’una privazione contraria alla potenza [dynamis]. Ogni Potenza e’ impotenza dello stesso e rispetto allo stesso ( di cui e’ potenza) [tou autou kai kata to auto pasa dynamis adynamia]”.

Adynamia non significa qui  mancanza di potenza, bensi’ potenza-di-non ( passare all’atto), dynamis me energein. Ogni potenza umana e’, cooriginariamente, impotenza ogni poter-essere o fare e’, per l’uomo, costitutivamente in rapporto con la propria privazione. …



Se la creazione fosse solo potenza-di-, che non puo’ che trapassare ciecamente nell’atto, l’arte decadrebbe a esecuzione, che procede con falsa disinvoltura verso la forma compiuta perche’ ha rimosso la resistenza della potenza-di-non. Contrariamente ad un equivoco diffuso, la maestria non e’ perfezione formale, ma proprio al contrario, conservazione della potenza nell’atto, salvazione dell’imperfezione nella forma perfetta. Nella tela del maestro o nella pagina del grande scrittore, la resistenza della potenza-di-non si segna nell’opera come l’intimo manierismo presente in ogni capolavoro…( la mancanza di gusto e’ sempre un non-poter-non-fare).. A imprimere sull’opera il sigillo della necessita’ e’, dunque, proprio cio’ che poteva non essere o poteva essere altrimenti: la sua contingenza.  Si tratta qui di quel “tremito leggero, impercettibile” nella stessa immobilita’ della forma che secondo Focillon ( autore, nel 1918, di un lungo testo su Hokusai, nota mia) e’ il contrassegno dello stile classico… Dante:”l’artista / ch’a l’abito de l’arte ha man che trema”….

Decisivo e’ che l’opera risulti sempre da una dialettica fra questi due principi intimamente congiunti….( slancio e resistenza, ispirazione e critica…potenza e potenza-di-non…)…

Lo stile di un’opera non dipende solo dall’elemento impersonale, dalla potenza creativa, ma anche da cio’ che resiste e quasi entra in conflitto con essa….

Di qui la pertinenza di quelle figure della creazione cosi’ frequenti in Kafka, in cui il grande artista e’ definito precisamente da una assoluta incapacita’ rispetto alla sua arte. E’, da una parte, la confessione del grande nuotatore:

            “Ammetto di detenere un record mondiale, ma se mi chiedeste come l’ho conquistato, non saprei rispondervi in maniera soddisfacente. Perche’, in realta’, io non so nuotare. Ho sempre voluto imparare, ma non ne ho mai avuto l’occasione”.

Dall’altra, la straordinaria cantante del popolo dei topi, Josephine, che…”raggiunge effetti che un artista del canto invano cercherebbe presso di noi e che appunto solo ai suoi mezzi insufficienti sono concessi”. Forse mai come in queste due figure la concezione corrente dell’arte come un sapere o un abito e’ stata messa altrettanto radicalmente in questione: Josephine canta con la sua impotenza di cantare come il nuotatore nuota con la sua impotenza di nuotare….

La potenza-di-non e’ una resistenza interna alla potenza, che impedisce che questa si esaurisca semplicemente nell’atto e la spinge a rivolgersi a se stessa, a farsi potentia potentiae, a potere la propria impotenza….Cosi’ la grande poesia non dice solo quel che dice, ma anche il fatto che lo sta dicendo, la potenza e l’impotenza di dirlo….

…nel De anima ( Aristotele) si ha una potenza che, in quanto puo’ non passare all’atto, resta libera, inoperosa, e puo’, cosi’, pensare se stessa: qualcosa, cioe’, come una pura potenza…

E’ questo resto inoperoso di potenza che rende possibile il pensiero del pensiero, la pittura della pittura, la poesia della poesia. …



“…oppure si dovra’ dire che per il falegname e il calzolaio vi sono un’opera e un’attivita’, per l’uomo (come tale) invece nessuna, ma che e’ nato senz’opera? [ argos, inoperoso]? Aristotele, Etica Nicomachea ( 1097b, 22ss)….

Vorrei invece proporvi di prendere sul serio quest’ipotesi e di pensare conseguentemente l’uomo come il vivente senz’opera.



… La seconda, questa volta nell’ambito delle arti, e’ il singolare opuscolo  di Kazimir Malevic L’inoperosita’ come verita’ effettiva dell’uomo in cui, contro la tradizione che vede nel lavoro la realizzazione dell’uomo, l’inoperosita’ si afferma come la “piu’ alta forma di umanita’”, di cui il bianco, ultimo stadio raggiunto dal Suprematismo in pittura, diventa il simbolo piu’ appropriato.  Come tutti I tentativi di pensare l’inoperosita’ , anche questo testo , come il suo precedente diretto, che e’ l’Elogio della pigrizia di Lafargue, in quanto definisce l’inoperosita’ soltanto e contrario rispetto al lavoro, resta imprigionato in una determinazione negativa del proprio oggetto. Mentre per gli antichi era il lavoro – il negotium – a essere definito in negativo rispetto alla vita contemplativa – l’otium ‘, i moderni sembrano incapaci di concepire la contemplazione, l’inoperosita’ e la festa altrimenti che come riposo o negazione del lavoro.

Poiche’ noi cerchiamo invece di definire l’inoperosita’ in relazione alla potenza e all’atto di creazione, va da se’ che non possiamo pensarla come oziosita’ o inerzia, ma come una prassi o una potenza di un tipo speciale, che si mantiene costitutivamente in rapporto con la propria inoperosita’. ….

Contemplazione e inoperosita’ sono, in questo senso, gli operatori metafisici dell’antropogenesi che, liberando il vivente uomo da ogni destino biologico o sociale e da ogni compito predeterminato, lo rendono disponbibile per quella particolare assenza di opera che siamo abituati a chiamare “politica” e “arte”. Politica e arte non sono compiti ne’ semplicemente “opere”: esse nominano, piuttosto, la dimensione in cui le operazioni linguistiche e corporee, materiali e immateriali, biologiche e sociali vengono disattivate e contemplate come tali….

Che cos’e’ infatti la poesia se non un’operazione nel linguaggio, che ne disattiva e rende inoperose le funzioni communicative e informative, per aprirle a un nuovo, possibile uso? ( le Illuminazioni di Rimbaud sono la contemplazione della lingua francese ).

Spinoza ha definito l’essenza di ogni cosa come il desiderio, il conatus di perseverare nel proprio essere…. Si tratta, ancora una volta, di una resistenza interna al desiderio, di una inoperosita’ interna all’operazione. Ma soltanto essa conferisce al conatus la sua giustizia e la sua verita’. In una parola, - e questo e’, almeno per l’arte, l’elemento decisivo – la sua grazia.  ( pp.39-60).



Mio spunto: Dada:” l’arte e’ gap”.



                                                                       



“Il movimento archetipico dell’acqua e’ la spirale. …Il vortice ha la sua propria ritmica che e’ stata paragonata al movimento dei pianeti intorno al sole. …E’ un essere a se’ e, tuttavia, non vi e’ una goccia che gli appartenga in proprio, la sua identita’ e’ assolutamente immateriale. E’ noto che Benjamin ha paragonato l’origine ad un vortice: ‘L’origine (Ursprung) sta nel flusso del divenire come un vortice e trascina dentro al proprio ritmo il materiale della provenienza…’.

Come il mulinello nel corso del fiume, l’origine e’ contemporanea al divenire dei fenomeni, da cui trae la sua materiale in cui, tuttavia, dimora in qualche modo autonoma e ferma. E poiche’ essa accompagna il divenire storico, cercare di capire quest’ultimo significhera’ non riportarlo indietro a un’origine separate nel tempo, ma confrontarlo e mantenerlo con qualcosa che, come un vortice, e’ tuttora presente in esso….

La goccia e’ il punto in cui il liquido si separa da se’, va in estasi ( l’acqua cadendo o schizzando si separa all’estremita’ in gocce). Il vortice e’ il punto in cui il liquido si concentra su di se’, gira e va in fondo a se stesso….ma e’ curioso che la goccia, ricadendo nell’acqua, produca ancora un vortice, si faccia gorgo e voluta.

Occorre concepire il soggetto non come una sostanza, ma come un vortice nel flusso dell’essere….ed e’ in questo senso che bisogna concepire il rapporto fra la sostanza e i suoi modi.

I nomi sono vortici nel divenire storico delle lingue… Nel nome noi non diciamo piu’ – o non diciamo ancora – nulla, chiamiamo soltanto….E il poeta e’ colui che s’immerge in questo vortice, in cui tutto ridiventa per lui nome.   ( pp.61-66).



Settembre, 2, 2014