Monday 4 January 2016


Giorgio Agamben

“ Il fuoco e il racconto”

nottetempo, 2014





Cap. 4: Che cos’e’ l’atto di creazione?



Deleuze non definisce che cosa significhi “resistere” e sembra dare al termine il significato corrente di opporsi a una forza o a una minaccia esterna. Nella conversazione sulla parola “resistenza” nell’Abecedario, egli aggiunge, a proposito dell’opera d’arte, che resitere significa sempre liberare una Potenza di vita che era stata imprigionata o offesa. …

.. l’atto di creazione ha costitutivamente a che fare con la liberazione di una Potenza. Penso tuttavia, che la Potenza che l’atto di creazione libera debba essere una Potenza interna allo stesso atto, come interno a questo deve essere anche l’atto di resistenza…. Aristotele oppone, e, insieme, lega la Potenza ( dynamis ) all’atto (energeia)…e’ attraverso questa opposizione che Aristotele spiega quelli che noi chiamiamo atti di creazione, che per lui coincidevano piu’ sobriamente con l’esercizio delle technai (arti nel senso piu’ generale della parola)…. La potenza ( di cui parla Aristotele) non e’ potenza generica…, ma quella che compete a chi ha gia’ acquisito l’arte o il sapere corrispondente. Aristotele chiama questo potere hexis, da echo, “avere”: l’abito, cioe’ il possesso di una capacita’ o abilita’ ( abitudine). Colui che possiede – o ha l’abito di – una Potenza puo’ tanto metterla in atto che non metterla in atto . La Potenza – questa e’ la tesi geniale, anche se in apparenza ovvia, di Aristotele – e’ cioe’ definita essenzialmente dalla possibilita’ del suo non-esercizio. La potenza e’ una sospensione dell’atto  ( in politica, la funzione del provocatore, che ha il compito di forzare chi ha il potere ad esercitarlo)…. Signoria di una privazione.

Dal fatto che la potenza sia definita dalla possibilita’ del suo non-esercizio, egli trae la conseguenza  di una costitutiva coappartenenza di potenza e impotenza. “L’impotenza [adynamia]”, egli scrive {Met. 1046a, 29-32}, “e’una privazione contraria alla potenza [dynamis]. Ogni Potenza e’ impotenza dello stesso e rispetto allo stesso ( di cui e’ potenza) [tou autou kai kata to auto pasa dynamis adynamia]”.

Adynamia non significa qui  mancanza di potenza, bensi’ potenza-di-non ( passare all’atto), dynamis me energein. Ogni potenza umana e’, cooriginariamente, impotenza ogni poter-essere o fare e’, per l’uomo, costitutivamente in rapporto con la propria privazione. …



Se la creazione fosse solo potenza-di-, che non puo’ che trapassare ciecamente nell’atto, l’arte decadrebbe a esecuzione, che procede con falsa disinvoltura verso la forma compiuta perche’ ha rimosso la resistenza della potenza-di-non. Contrariamente ad un equivoco diffuso, la maestria non e’ perfezione formale, ma proprio al contrario, conservazione della potenza nell’atto, salvazione dell’imperfezione nella forma perfetta. Nella tela del maestro o nella pagina del grande scrittore, la resistenza della potenza-di-non si segna nell’opera come l’intimo manierismo presente in ogni capolavoro…( la mancanza di gusto e’ sempre un non-poter-non-fare).. A imprimere sull’opera il sigillo della necessita’ e’, dunque, proprio cio’ che poteva non essere o poteva essere altrimenti: la sua contingenza.  Si tratta qui di quel “tremito leggero, impercettibile” nella stessa immobilita’ della forma che secondo Focillon ( autore, nel 1918, di un lungo testo su Hokusai, nota mia) e’ il contrassegno dello stile classico… Dante:”l’artista / ch’a l’abito de l’arte ha man che trema”….

Decisivo e’ che l’opera risulti sempre da una dialettica fra questi due principi intimamente congiunti….( slancio e resistenza, ispirazione e critica…potenza e potenza-di-non…)…

Lo stile di un’opera non dipende solo dall’elemento impersonale, dalla potenza creativa, ma anche da cio’ che resiste e quasi entra in conflitto con essa….

Di qui la pertinenza di quelle figure della creazione cosi’ frequenti in Kafka, in cui il grande artista e’ definito precisamente da una assoluta incapacita’ rispetto alla sua arte. E’, da una parte, la confessione del grande nuotatore:

            “Ammetto di detenere un record mondiale, ma se mi chiedeste come l’ho conquistato, non saprei rispondervi in maniera soddisfacente. Perche’, in realta’, io non so nuotare. Ho sempre voluto imparare, ma non ne ho mai avuto l’occasione”.

Dall’altra, la straordinaria cantante del popolo dei topi, Josephine, che…”raggiunge effetti che un artista del canto invano cercherebbe presso di noi e che appunto solo ai suoi mezzi insufficienti sono concessi”. Forse mai come in queste due figure la concezione corrente dell’arte come un sapere o un abito e’ stata messa altrettanto radicalmente in questione: Josephine canta con la sua impotenza di cantare come il nuotatore nuota con la sua impotenza di nuotare….

La potenza-di-non e’ una resistenza interna alla potenza, che impedisce che questa si esaurisca semplicemente nell’atto e la spinge a rivolgersi a se stessa, a farsi potentia potentiae, a potere la propria impotenza….Cosi’ la grande poesia non dice solo quel che dice, ma anche il fatto che lo sta dicendo, la potenza e l’impotenza di dirlo….

…nel De anima ( Aristotele) si ha una potenza che, in quanto puo’ non passare all’atto, resta libera, inoperosa, e puo’, cosi’, pensare se stessa: qualcosa, cioe’, come una pura potenza…

E’ questo resto inoperoso di potenza che rende possibile il pensiero del pensiero, la pittura della pittura, la poesia della poesia. …



“…oppure si dovra’ dire che per il falegname e il calzolaio vi sono un’opera e un’attivita’, per l’uomo (come tale) invece nessuna, ma che e’ nato senz’opera? [ argos, inoperoso]? Aristotele, Etica Nicomachea ( 1097b, 22ss)….

Vorrei invece proporvi di prendere sul serio quest’ipotesi e di pensare conseguentemente l’uomo come il vivente senz’opera.



… La seconda, questa volta nell’ambito delle arti, e’ il singolare opuscolo  di Kazimir Malevic L’inoperosita’ come verita’ effettiva dell’uomo in cui, contro la tradizione che vede nel lavoro la realizzazione dell’uomo, l’inoperosita’ si afferma come la “piu’ alta forma di umanita’”, di cui il bianco, ultimo stadio raggiunto dal Suprematismo in pittura, diventa il simbolo piu’ appropriato.  Come tutti I tentativi di pensare l’inoperosita’ , anche questo testo , come il suo precedente diretto, che e’ l’Elogio della pigrizia di Lafargue, in quanto definisce l’inoperosita’ soltanto e contrario rispetto al lavoro, resta imprigionato in una determinazione negativa del proprio oggetto. Mentre per gli antichi era il lavoro – il negotium – a essere definito in negativo rispetto alla vita contemplativa – l’otium ‘, i moderni sembrano incapaci di concepire la contemplazione, l’inoperosita’ e la festa altrimenti che come riposo o negazione del lavoro.

Poiche’ noi cerchiamo invece di definire l’inoperosita’ in relazione alla potenza e all’atto di creazione, va da se’ che non possiamo pensarla come oziosita’ o inerzia, ma come una prassi o una potenza di un tipo speciale, che si mantiene costitutivamente in rapporto con la propria inoperosita’. ….

Contemplazione e inoperosita’ sono, in questo senso, gli operatori metafisici dell’antropogenesi che, liberando il vivente uomo da ogni destino biologico o sociale e da ogni compito predeterminato, lo rendono disponbibile per quella particolare assenza di opera che siamo abituati a chiamare “politica” e “arte”. Politica e arte non sono compiti ne’ semplicemente “opere”: esse nominano, piuttosto, la dimensione in cui le operazioni linguistiche e corporee, materiali e immateriali, biologiche e sociali vengono disattivate e contemplate come tali….

Che cos’e’ infatti la poesia se non un’operazione nel linguaggio, che ne disattiva e rende inoperose le funzioni communicative e informative, per aprirle a un nuovo, possibile uso? ( le Illuminazioni di Rimbaud sono la contemplazione della lingua francese ).

Spinoza ha definito l’essenza di ogni cosa come il desiderio, il conatus di perseverare nel proprio essere…. Si tratta, ancora una volta, di una resistenza interna al desiderio, di una inoperosita’ interna all’operazione. Ma soltanto essa conferisce al conatus la sua giustizia e la sua verita’. In una parola, - e questo e’, almeno per l’arte, l’elemento decisivo – la sua grazia.  ( pp.39-60).



Mio spunto: Dada:” l’arte e’ gap”.



                                                                       



“Il movimento archetipico dell’acqua e’ la spirale. …Il vortice ha la sua propria ritmica che e’ stata paragonata al movimento dei pianeti intorno al sole. …E’ un essere a se’ e, tuttavia, non vi e’ una goccia che gli appartenga in proprio, la sua identita’ e’ assolutamente immateriale. E’ noto che Benjamin ha paragonato l’origine ad un vortice: ‘L’origine (Ursprung) sta nel flusso del divenire come un vortice e trascina dentro al proprio ritmo il materiale della provenienza…’.

Come il mulinello nel corso del fiume, l’origine e’ contemporanea al divenire dei fenomeni, da cui trae la sua materiale in cui, tuttavia, dimora in qualche modo autonoma e ferma. E poiche’ essa accompagna il divenire storico, cercare di capire quest’ultimo significhera’ non riportarlo indietro a un’origine separate nel tempo, ma confrontarlo e mantenerlo con qualcosa che, come un vortice, e’ tuttora presente in esso….

La goccia e’ il punto in cui il liquido si separa da se’, va in estasi ( l’acqua cadendo o schizzando si separa all’estremita’ in gocce). Il vortice e’ il punto in cui il liquido si concentra su di se’, gira e va in fondo a se stesso….ma e’ curioso che la goccia, ricadendo nell’acqua, produca ancora un vortice, si faccia gorgo e voluta.

Occorre concepire il soggetto non come una sostanza, ma come un vortice nel flusso dell’essere….ed e’ in questo senso che bisogna concepire il rapporto fra la sostanza e i suoi modi.

I nomi sono vortici nel divenire storico delle lingue… Nel nome noi non diciamo piu’ – o non diciamo ancora – nulla, chiamiamo soltanto….E il poeta e’ colui che s’immerge in questo vortice, in cui tutto ridiventa per lui nome.   ( pp.61-66).



Settembre, 2, 2014

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